Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo

La commedia venne composta nel giro di poche settimane e fu messa in scena per la prima volta il 15 marzo 1945 al Teatro di San Carlo a Napoli. Come tutte le commedie di De Filippo anche questa è stata rappresentata in molti paesi europei. Divenne inoltre un dramma lirico in tre atti, con libretto di Eduardo De Filippo e musiche di Nino Rota che debuttò il 22 giugno 1977 al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Dalla commedia è rimasta celebre la frase entrata nell’uso comune «Ha da passa’ ‘a nuttata» (deve trascorrere la notte) nel senso di dover sopportare le difficoltà dell’esistenza con la speranza che si risolvano.

La trama
ATTO PRIMO
Siamo nel 1942. In un tipico basso napoletano vive la famiglia Iovine, costituita dal padre Gennaro, la moglie Amalia, i figli Maria Rosaria, Amedeo e la piccola Rituccia.
Amalia si arrangia con la borsa nera con la merce che le fornisce Enrico soprannominato Settebellizze. Gennaro non è d’accordo con i traffici illegali della moglie, ma capisce che senza quella attività la famiglia farebbe la fame.
La necessità porta il ragioniere Spasiano, che deve sfamare tre bambini; a ricorrere alla borsa nera.. Amalia ne approfitta fornendogli pagare tutto a caro prezzo arrivando ad appropriarsi anche delle poche proprietà che ancora gli rimangono.
In seguito ad una “spiata” la famiglia Iovine viene avvertita dell’imminente arrivo del brigadiere Ciappa. Gennaro è costretto a fare la parte del morto, steso immobile e rigido sul letto sotto al quale è nascosta una notevole quantità di merce di contrabbando.
I familiari inscenano una veglia funebre, con tanto di false monache salmodianti, e tra pianti strazianti implorano il brigadiere di rispettare il morto e il loro dolore.
Il brigadiere, che ha capito il trucco, insiste perché Gennaro la finisca con quella farsa, ma Gennaro, malgrado che in quel momento è in atto un bombardamento, non accenna ad alcun movimento.
Il brigadiere rimane ammirato dal coraggio del finto morto, che non muove un ciglio e gli promette che non lo arresterà ne farà la perquisizione. Il morto a quel punto risorge.

ATTO SECONDO
È passato del tempo: Napoli è stata liberata. Il basso è stato rinnovato e ristrutturato. Amalia ha fatto fortuna associandosi in commerci poco puliti con Settebellizze di cui quel giorno si festeggerà il compleanno nel basso che Amalia gli ha messo adisposizione.
La guerra ha lasciato le sue rovine e la famiglia Iovine si sta disgregando: la figlia Maria Rosaria è rimasta incinta di un soldato americano che l’ha lasciata, Amedeo ruba pneumatici delle auto insieme a Peppe ‘o Cricco. Intanto la piccola Rituccia si è ammalata.
Gennaro, di cui non si avevano notizie perché deportato dai tedeschi, torna inaspettatamente proprio quel giorno di festa. Vorrebbe sfogarsi, raccontare le sue sofferenze e peripezie ma nessuno sta ad ascoltarlo, tutti vogliono festeggiare Settebellizze e non pensare più alla guerra ormai finita. Il secondo atto si chiude con Gennaro amareggiato che lascia la compagnia e si porta vicino alla figlia ammalata.

ATTO TERZO
Una disgrazia più grande sta per abbattersi sulla famiglia: la piccola Rituccia morirà se non si troverà una medicina che sembra essere introvabile in tutta Napoli.
Tutti si sono mobilitati alla sua ricerca, ma non c’è niente da fare. Amalia, disperata, sospetta che è tenuta nascosta per farne alzare il prezzo così come ha fatto anche lei per la vendita delle sigarette, ma qui si tratta di una vita umana.
La medicina la porterà il ragioniere Spasiano, ormai ridotto sul lastrico da Amalia. La dà alla stessa Amalia senza pretendere niente in cambio ma facendole notare che, quando si trattava di non far morire di fame i suoi figli, Amalia non era stata altrettanto generosa e che «Chi prima, chi dopo, ognuno deve bussare alla porta dell’altro». Questa  è la lezione che il ragioniere dà a donna Amalia.
Adesso si deve aspettare che la bambina superi la nottata.
Intanto Amedeo, rinsavito tornerà a lavorare onestamente mentre Maria Rosaria resterà in famiglia con il suo bambino. Amalia ha capito i suoi errori e piange confortata dal marito. La scena si chiude sulla frase, diventata celebre, di Gennaro:
«Moavimm’aspetta’, Ama… S’ha da aspetta’. Comme ha ditto o’ dottore? Ha da passa’ ‘a nuttata.»

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